Su Il Manifesto, l’intervista a Stefano Magnone.
A cura di Francesca Del Vecchio.
Prosegue in consiglio regionale la discussione-maratona sulla riforma sanitaria in Lombardia. A pochi giorni dal termine ultimo per l’approvazione (il prossimo 26 novembre) anche l’Anaao Assomed Lombardia, il sindacato della dirigenza sanitaria, ha espresso “forti perplessità” sul testo della legge Moratti. Tre i punti principali: “L’assenza di un ragionamento sulla rete ospedaliera, l’apertura al privato anche alle cure territoriali, l’eccessiva libertà del privato accreditato e contrattualizzato”. Abbiamo raggiunto al telefono Stefano Magnone, segretario di Anaao Lombardia.
Ha definito questa riforma “timida”. Qual è il vero problema della legge Moratti?
Gli equilibri politici sul cui altare è sacrificato il sistema sanitario regionale. Parliamo di un bene troppo prezioso perché venga posposto alla cura dei rapporti di forza. Bisognerebbe, piuttosto, studiare un percorso a lungo termine adeguato alle sfide che arriveranno. Ma ci rendiamo conto che politicamente non è sostenibile. È un fatto che questa divisione tra chi eroga i servizi e chi programma – tipicamente lombarda, pilastro del sistema Formigoni – abbia portato a un liberismo eccessivo, quasi incontrollato. In tutti questi anni, la Regione ha sempre dovuto rimediare alle fughe del privato verso ciò che era più redditizio. La “pesca” di pazienti al Sud, per esempio. Dunque, ci aspettavamo un po’ più di coraggio nel riscrivere questa legge. E non mi parlino di ‘sana competizione’ tra pubblico e privato, come fatto da qualche consigliere alcune settimane fa: i criteri di gestione tra i due settori sono totalmente diversi.
Si spiega così l’esodo dei pazienti verso il privato per evitare le lunghe liste d’attesa.
Indubbiamente. Abbiamo chiesto l’agenda unica delle prenotazioni per far sì che, quando un paziente si reca al Cup (centro unico di prenotazione) acceda alle agende, pubblica e privata, di tutto il territorio regionale e possa scegliere. Poi, abbiamo scoperto che l’agenda unica esisteva già dalla Legge Maroni ma non era mai stata applicata perché i privati non hanno mai voluto. Nonostante il ministero della Salute avesse stanziato – su loro richiesta – dei fondi per creare l’infrastruttura informatica.
L’obiezione potrebbe essere, però, che un paziente non può spostarsi in tutta la regione per una tac. Come si rimedia?
Innanzitutto, già il solo fatto di poter garantire a un paziente una prenotazione è un passo avanti, visto che attualmente, nella maggior parte dei casi, si sentono rispondere “le agende sono chiuse”, oppure “il primo posto libero è fra sei mesi”. Dopodiché, il sistema Emilia- Romagna ha dimostrato che ciò è possibile. Si tratta solo di stabilire i criteri giusti per l’organizzazione e la sinergia tra pubblico e privato. Ma serve un governo regionale che abbia una forte presenza e coesione sul e con il territorio.
Quanto alla rete ospedaliera in sofferenza, altro punto su cui avete posto l’attenzione…
Ci sono strutture che andrebbero riconvertite per potenziare l’assistenza sul territorio. Alcune, specie quelle piccole, fanno fatica a stare in piedi. E non parlo solo di zone disagiate. Andrebbero trasformate per diventare qualcosa di più utile al cittadino. Ma a quel punto c’è il politico di turno che si batte perché non venga chiuso l’ospedale X o il pronto soccorso Y. La verità è che tenerli aperti solo per non scontentare la politica e non perdere voti li rende luoghi insicuri, specie per l’emergenza-urgenza.
Altro tema, le Ats. Dalla proposta di abolizione al semplice depotenziamento. A cosa serve?
A non far saltare nessuna poltrona. Più di una volta abbiamo chiesto di unificare le 8 Ats esistenti in un’unica Ats. Ma non si può scontentare nessuno. E non mi parlino di ‘sana competizione’ tra pubblico e privato, come fatto da qualche consigliere: i criteri di gestione tra i due settori sono totalmente diversi